Realizzazione sito - Beppe Petrullo                                                                                                                                                                    Articolo Scritto da Maristella  Dilettoso

 
 

 

 

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                                Il beato Domenico Spadafora: Una storia lunga cinque secoli

C’è un filo, antico ed invisibile, che unisce due città, distanti fra loro oltre 1100 Km, e tanto diverse: una è Randazzo, cittadina di oltre 11.000 abitanti, in provincia di Catania, lambita dalle lave dell’Etna, con le sue nere torri, già meta dei re normanni, svevi ed aragonesi, nella Sicilia di Verga, di Antonello e Vincenzo Bellini, orribilmente mutilata dai bombardamenti nel luglio-agosto 1943, l’altra è Montecerignone, piccola comunità di 700 anime, adagiata nel cuore del Montefeltro, dominio dei duchi di Urbino, grandi mecenati del Rinascimento, lassù nelle Marche, terra di Raffaello, Rossini e Leopardi, a un tiro di sasso dalla rocca di San Marino, tra dolci colline dominate dalla mole del monte Carpegna, risparmiata dagli eventi bellici, e di recente eletta a sede di villeggiatura da Umberto Eco. Nulla di più antitetico, se si eccettua l’economia agricola su cui si fondano entrambe. Solo da poco tempo, eppure, queste due città hanno riannodato quel filo che le unisce da oltre quattro secoli, intensificando i loro rapporti, perché tra di loro, dal 1450 al 1521, aprì  e concluse la sua parabola terrena Domenico Spadafora.

Ma se a Randazzo di lui è rimasto solo il nome, tramandato dalle pagine degli storici  municipali, e sono scomparsi, ad opera del tempo e degli uomini, i luoghi che lo videro nascere e crescere, così non è stato per  Montecerignone, dove nel santuario di S. Maria in Reclauso, con fede inalterata, se ne venera l’urna, si rivolgono suppliche e preghiere, avvengono guarigioni e miracoli.

Domenico Spadafora discendeva da una nobile, antica famiglia, giunta in Sicilia da Costantinopoli probabilmente nell’XI secolo, che ricoprì sempre alte cariche sotto i principi normanni e Aragonesi, diede al Regnum Siciliae letterati, senatori, vescovi, detenne titoli e feudi, ed ebbe stretti legami con la città demaniale di Randazzo, dove aveva la sepoltura gentilizia nella chiesa di S. Francesco, e due palazzi, e dove i suoi esponenti esercitarono diverse cariche pubbliche, dimostrandosi all’occasione prodighi verso la città, come Ruggero Spadafora che vi fondò, nel 1470, l’Ospedale dei poveri. In uno di quei palazzi nacque Domenico, intorno al 1450, da Giovanni Spadafora, barone di Maletto e signore di Casale, Castello e Tonnara, e fu battezzato in S. Nicola. La sua condizione di secondogenito non gli assegnava alcuno dei feudi paterni, appannaggio esclusivo del primogenito Giovannello. Nulla sappiamo della sua prima infanzia, solo che i genitori lo mandarono a Palermo a  frequentarvi  i Frati Predicatori, e che qui si avvicinò al nuovo convento domenicano di S. Zita, dove indossò le vesti di novizio. Il convento era stato fondato dal beato Pietro Geremia, che in Sicilia si era impegnato attivamente per ricondurre i conventi domenicani all’osservanza delle regole. Domenico svolse il suo noviziato in questo clima di rinnovato fervore, desideroso di raggiungere attraverso la preghiera, lo studio ed i sacrifici, l’ideale del domenicano.

 Dopo,  i suoi superiori, nel 1477, lo mandarono a compiere gli studi a Perugia, e a Padova, sede di una delle Università più prestigiose e antiche del mondo. Qui conseguì nel 1479, a 29 anni, il grado di Baccelliere in Sacra Teologia, con aggregazione all’Università e licenza di esercitare il suo ministero con l’insegnamento pubblico della Teologia. Arricchito da tali esperienze, e dalla frequentazione con molti frati osservanti, ansioso di riportare la comunità al primitivo fervore, fu richiamato dai superiori a Palermo, sempre a S. Zita, proseguendo nella sua vita austera, corroborata da un’intensa attività apostolica e dal sapere acquisito in quegli anni. Tanti si accostavano a lui per riceverne consiglio, sostegno e conforto, ed egli mostrava un atteggiamento umile che lo faceva rifuggire da qualsiasi onore.

Nel 1487 fu indetto a Venezia il Capitolo dei Domenicani, per l’elezione del Maestro Generale dell’Ordine: Domenico vi prese parte, e il 7 giugno tenne una disputa che riscosse unanimi consensi, sì da farlo eleggere tra i 12 nuovi Maestri in Sacra Teologia, che il Vicario generale, Giovacchino Torriani, aveva ricevuto dal papa la facoltà di nominare.  Il Vicario poi lo trattenne presso di sé, con l’intento di circondarsi di uomini religiosamente irreprensibili, ma anche “saggi e prudenti”, che potessero dare il loro fattivo contributo in quella tanto auspicata restaurazione dell’Ordine, in attesa di un prossimo Capitolo da tenersi a Mans.

Subito dopo il Capitolo di Mans, gli abitanti di Montecerignone, nel Montefeltro, chiesero al Maestro Generale dei Predicatori l’istituzione di un convento, e di una chiesa, da erigere nella località di Fontebuona, dove esisteva una cappella della Madonna, oggetto della loro venerazione. Il Torriani decise di inviare Domenico, che vi giungeva il 15 settembre 1491 (ecco perché Montecerignone lo festeggia ogni anno la seconda domenica di settembre). Completata la chiesa, dal 1491 al 1498, con un solo compagno, si occupò della costruzione del convento, e quindi richiamò i frati necessari al culto e alla predicazione. A Montecerignone Domenico trascorse circa 30 anni, dedicandosi alla carità, alla direzione spirituale delle anime, e all’insegnamento ai giovani, amato e riverito da tutti, tenuto già in considerazione di Santo. Così fino al 21 dicembre 1521, quando celebrata la Messa, riunì i frati nel capitolo, e dopo avere loro raccomandato l’osservanza delle regole, la bontà e lo zelo, ed essersi scusato per i suoi difetti e per eventuali torti o dispiaceri arrecati loro, annunciò che sarebbe morto prima del tramonto. Recatosi poi nella sua cella e ricevuti i sacramenti, rendeva l’anima a Dio. Grande fu il compianto dei confratelli e degli abitanti del posto, che continuarono per anni a rendere omaggio alla sua tomba, situata nel presbiterio della chiesa. Nel 1545, nel corso di una prima traslazione, i suoi resti furono trovati intatti: aumentarono i prodigi e le guarigioni a lui attribuiti.

Nel 1652 il convento di S. Maria delle Grazie venne chiuso per ordine di Innocenzo X, e la chiesa passò sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Maria in Reclauso, dove il corpo del beato Spadafora fu ancora traslato il 3 ottobre dell’anno 1677, in una nuova urna recante l’epitaffio: “Siste viastor, coelites quos nutriunt remora, mente revolve, B Dominici Spataforae, sanguine clari, doctrina clarioris, sanctitate clarissimi”. Domenico ritrovava così di nuovo la devozione dei fedeli, ma la sanzione ufficiale della Chiesa, a seguito delle istanze del vescovo del Montefeltro S.E. Mons. Raffaele Santi, e di P. Lodovico Fanfani, postulatore O.P., avveniva il 14 gennaio 1921, proprio nel 4° centenario dalla sua morte, riconoscendo al Servo di Dio il titolo di Beato, con l’approvazione del S. Pontefice Benedetto XV,.

La vita terrena del Beato Domenico Spadafora si potrebbe compendiare nella mortificazione della volontà ed osservanza delle regole: lui che discendeva da nobile schiatta, avrebbe potuto far leva sulla sua posizione sociale per ottenere alte cariche e privilegi, in un tempo in cui il censo era elemento di forza. I suoi parenti ricoprivano in Sicilia le più alte cariche, erano influenti presso la casa d’Aragona, non potevano mancargli gloria, agi e vita facile, invece, come scrisse un suo biografo, “si rinchiuse in un chiostro e si cinse di silenzio”, accontentandosi di indicare la via del bene ai contadini e agli umili, collocandosi così, a buon diritto, in quell’area di riforma e di ripristino della regola primitiva e dello spirito dell’Ordine, che caratterizzò il cosiddetto “secolo d’oro dei “Domenicani in Sicilia”, quel secolo XV, che presenta numerose figure di religiosi insigni per cultura e santità.

Proprio in ossequio a tale spirito di riforma – che additava nell’osservanza del voto di povertà, e nell’abolizione di onori e privilegi, cui, purtroppo, negli ambienti vicini alla corte aragonese si era finito per indulgere  - attorno al Convento di S. Zita, ed alle successive comunità riformate, fiorirono numerose figure di frati virtuosi ed osservanti, che contribuirono col loro operato ad aumentare il prestigio dell’Ordine, ed a realizzare l’unità spirituale della Sicilia.

Primo fra questi, Pietro Geremia (Palermo 1399-1452), fondatore appunto di S. Zita, che può definirsi il padre dei riformatori siciliani, figura di grande spessore che, oltre alla sua terra natale si rese particolarmente benemerito anche nella città di Catania, operò in vita numerosi prodigi, e fu proclamato beato il 12 maggio 1784 da papa Pio VI. Non a caso, la stessa sorte toccò a tre domenicani, tutti e tre riformatori, tutti e tre discepoli di Pietro Geremia. Oltre al nostro Domenico Spatafora, vanno ricordati Bernardo Scammacca (Catania 1430-1487) che fu proclamato beato l’8 marzo 1825, da papa Leone XII, e Giovanni Liccio (Caccamo 1426-1511) beatificato il 25 aprile 1753 da Benedetto XIV.

I rapporti fra le due comunità di Montecerignone e Randazzo, sempre più intensificatisi, sono cominciati due anni fa, quando il parroco di Montecerignone, e rettore del Santuario di S. Maria in Reclauso, il polacco don Cristoforo Bialowas, attivo e tenace al pari di un suo ben più illustre “connazionale”, si intestò l’iniziativa di riprendere quel processo di santificazione fermo fin dal 1921, recandosi, a tale scopo, più volte in visita alla Santa Sede, a manifestare a Papa Wojtyla la sua grande aspirazione di vedere Domenico Spadafora sugli altari, e ottenendo da lui questa risposta: “Io sono pronto. E voi?”, rispolverando vecchie carte, atti, biografie, testimonianze, e andando di persona nei luoghi toccati in vita dal beato: Palermo, Roma, Perugina, Venezia, Parigi, e primo fra tutti Randazzo.

Nell’aprile 2004, è stato il sindaco Michele Maiani a venire in visita nella cittadina etnea, ricevuto dalle autorità cittadine, mentre nei giorni successivi le due amministrazioni provvedevano a deliberare l’atto di gemellaggio, espressione di due comunità tanto diverse per posizione geografica, storia, tradizioni, ma accomunate dalla volontà di poter un giorno celebrare insieme la santificazione di un sì illustre concittadino, dell’una per nascita, dell’altra per elezione.

A  maggio dello stesso anno un gruppo di pellegrini, capeggiati da don Cristoforo, era approdato a Randazzo, per vedere da vicino il paese natale del beato Domenico, prendere parte a delle  concelebrazioni e un ricevimento nel Palazzo Municipale. In quell’occasione il sindaco di Randazzo, Salvatore Agati, accogliendo l’invito del sacerdote, aveva promesso di recarsi a Montecerignone in testa ad una comitiva di randazzesi il 12 settembre, per poter celebrare insieme la festa del beato. Infatti, all’iniziativa aderivano in 50, con in testa la massima autorità religiosa di Randazzo, l’Arciprete e Vicario Foraneo Mons. Vincenzo Mancini, lo stesso sindaco, assessori,  consiglieri comunali, e cittadini.

Un’altra data importante è stato il 20 ottobre 2004, giorno in cui si recava a Roma, all’udienza di Papa Giovanni Paolo II, per il 26° anniversario del suo pontificato, una rappresentanza delle due comunità, composta tra l’altro dai due sindaci Agati e Giorgini, dal parroco e dal Principe Spadafora, discendente del beato.

Don Bialowas intanto, dopo avere fondato un gruppo di preghiera e provveduto al restauro del santuario, allo scopo di intensificare e diffondere il culto del beato Domenico, offriva alla comunità randazzese una sua reliquia il 13 febbraio 2005, nel corso di una solenne concelebrazione nella basilica di S. Maria, e successivamente si recava a Terespol (Polonia) e Kamieniec Podolski (Ucraina), per donare altre reliquie. All’inizio dell’estate, poi, il 24 giugno, una delegazione proveniente da Montecerignone e presieduta dal sindaco Giorgini, è giunta a Randazzo fermandosi per quattro giorni.

All’appuntamento annuale con la festa del beato Domenico Spadafora, lo scorso 11 settembre, lassù a Montecerignone, si sono ritrovati numerosi, fedeli e laici, autorità e semplici cittadini. La festa, dal carattere prettamente religioso, è stata preceduta da un triduo di preparazione che ha visto stavolta, in qualità di predicatore, P. Giovanni Calcara, Domenicano O.P., originario di Caccamo (PA), del Convento S. Domenico di Catania, e docente alla Facoltà di giurisprudenza dell’UMSA di Palermo, che con le sue vibranti omelie e con la sua presenza ha rinsaldato i legami tra le città interessate alla spiritualità domenicana ed alla figura di questo grande teologo del XV secolo.

Nel pomeriggio della domenica, la concelebrazione, svoltasi all’aperto, nel vasto spiazzo del santuario, sull’altare in pietra lavica dell’Etna offerto dal comune di Randazzo e scolpito dall’artista randazzese Gaetano Arrigo, è stata officiata dal Vescovo della Diocesi di S. Marino e Montefeltro, S.E. Mons. Luigi Negri, con la presenza del vescovo di Kamieniec Podolski (Ucraina), S.E. Mons. Leon Dubrawsky, oltre ai sacerdoti della Valconca ed al parroco don Cristoforo Bialowas. Tra le numerose autorità presenti, a far gli onori di casa erano il sindaco di Montecerignone Davide Giorgini, il presidente della Comunità Montana di Montefeltro Michele Maiani, il sindaco di Mercatino conca Rossella Benvenuto, di Macerata Feltria Silvano Severini, di Frontino Rosa Ercolani, di Piandimeleto Riccardo Nonni, di Lunano Massimo Grandicelli, il vicesindaco di Montegrimano Nazareno Pacci, in rappresentanza di Pietrarubbia l’assessore Claudio Urbinati, e infine da Randazzo il sindaco Salvatore Agati ed il vicesindaco Grazia Emmanuele, con alcuni consiglieri ed un gruppo di pellegrini. Al termine della Messa, si è svolta la consueta processione con l’effigie del beato Domenico, ed il rinfresco, allietato dalla banda di Montegrimano. Lo stesso giorno, a Randazzo, nella Basilica di S. Maria, l’arciprete e vicario foraneo mons. Vincenzo Mancini, officiava una Messa facendo memoria del comune beato ed impartendo la benedizione solenne con le sue reliquie.


                      Maristella Dilettoso

Famiglia domenicana, n.1 - 2006